Avere un fratello

Avere un fratello significa poter iniziare a giocare coi regali di Natale appena aperti, immediatamente, senza dover aspettare la disponibilità del Papà o di invitare a casa un amichetto. Avere accanto un compagno di giochi per il subbuteo, l’allegro chirurgo e il calcetto, sempre, anche la mattina appena sveglio. Avere vicino un complice di risate, cantate e zuffe, sempre, anche in macchina o mentre ti annoi perché gli adulti parlano fra di loro.

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Riderci sopra è meglio

Non puoi raccontare proprio tutto tutto alla tua cara amica seduta sul divano mentre si accarezza la grande pancia, si confida e ti fa domande, perché assolutamente non vuoi essere una di quelle che spiattellano per filo e per segno i particolari più truculenti del loro parto a chi non c’è ancora passata, e nemmeno entrare nel novero delle noiosissime mamme-io facevo così-il mio bambino di qui, il mio bambino di là, perché sai che in fondo certe emozioni, finché non le si prova, non le si può nemmeno immaginare e perché pensi anche che sia giusto lasciare qualcosa alla sorpresa…

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Cinque anni

Cinque anni da quell’assolato pomeriggio invernale in cui, insieme alla luce che dalla finestra invadeva la sala parto, coi tuoi quattro chili mi hai sorpresa e travolta, fugando ogni tacito dubbio che, di nuovo, potessi vedere qualcosa di così bello e provare, ancora, un amore così forte, una felicità così intensa.

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Due anni fa – 7 giugno

Ore 8.30. Dopo una lunga notte insonne, telefono alla Nonna in 3D:
“Ciao Mamma. Scusami, ma avrei bisogno che portassi tu all’asilo il Bimbo Grande. Sai, credo di essermi presa la gastroenterite dai bambini e così non ho chiuso occhio tutta notte. Sono stata malissimo. Adesso va meglio, ma vorrei dormire un po’, perché sono stanca e ho una contrazione dietro l’altra. Magari potresti tenermi per qualche ora anche il Bimbo Grandicello.”

Ore 9.30. In una casa insolitamente vuota e silenziosa mi metto a letto.
Di dormire però non c’è verso. La Piccolina si agita, le contrazioni non cessano.
Mi alzo, cammino.
Poi la sento: la prima pugnalata nella schiena… e la riconosco subito. Certe cose non si dimenticano.

Mi risuonano ancora nelle orecchie le parole di ieri, vedo il promemoria sull’agenda.
Mi scappa un sorriso. No che non la faccio la telefonata per il monitoraggio: non so quanto ci vorrà, ma non ci arriviamo a termine questa volta!

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